Giancarlo Papi
Periferie dell'accadimento
All'inizio degli anni Settanta l'immagine fotografica è ancora utilizzata per testimoniare e visualizzare pratiche artistiche altrimenti votate alla scomparsa (Happening, Body Art, Land Art, ecc.): più che a rappresentare essa tende a "ristabilire una presenza impossibile", a porsi come segno sussidiario della cosa rappresentata. E anche quando pare superare la finalità puramente documentaria e si offre come suggestione espressiva spesso deve combinarsi con altri codici (la scrittura), che la sostengono e la informano. In altre parole la fotografia si presenta come "messaggio senza codice" che necessita di un costante supplemento informativo. Ma forse è da questa condizione, da questa impossibilità di darsi come immagine compiuta, che essa prende atto di una sua valenza primaria, di un suo potenziale immaginativo sorprendente e meravigliante. Il fatto di essere un testo mai del tutto formato o del tutto definito la spinge a mettere in risalto la propria stessa indeterminatezza, a far vedere il suo rapporto ambiguo con la realtà o addirittura a farsi vedere come nuova realtà.
È questa la premessa da cui muove la ricerca di Luca Piovaccari che è, appunto, uno di quei giovani artisti che non impiegano la fotografia in un'ottica meramente "dimostrativa" e documentaria, ma spostano l'attenzione nei territori del racconto, della memoria. Il che implica una vera e propria perdita della facoltà mimetica e la conseguente trasformazione del linguaggio fotografico che da strumento freddo, neutro, eminentemente riproduttivo, passa ad essere catalizzatore di situazioni dal forte impatto emotivo. Diventa in tal modo un medium antagonistico della falsa normalità del quotidiano, scava nel vuoto e nella frigidità esistenziale, si fa strumento di riflessione aggressivo, dissacrante, impertinente, invadente, il cui approccio alla realtà non è più speculare, quanto, semmai, interlocutorio.
Per Piovaccari, così come ha affermato Max Bense, l'arte deve essere sempre Eingriff, penetrazione diretta nella realtà fisica, volta all'accrescimento conoscitivo e alla complementarietà di fisico e psichico. Ne deriva la figura di un artista attento a captare segnali, a decodificare, ricostruire, ricontestualizzare immagini, luoghi situazioni. Dunque il suo non è un lavoro appiattito e abitudinario, ma è incentrato su una fotografia che diventa trappola seduttiva e spiazzante che acquisisce il fascino discreto derivante dall'eplorazione non di momenti eclatanti, bensì dei dettagli e delle periferie dell'accadimento. Le immagini costituiscono perciò una soglia di fronte alla quale cessano di funzionare i rapidi e tranquillizzanti meccanismi di inquadramento e di valutazione: si palesano piuttosto infinite - e indefinibili - possibilità associative.
Per esempio negli assemblaggi che impiegano pellicole di acetato, o perché queste sono montate distaccate dalla parete, o semplicemente perché fissate solo da un lato, le immagini sono fluide, sfuggenti e si percepiscono come qualcosa che è insieme da vedere e da trapassare con lo sguardo. Specialmente in alcune opere recenti che utilizzano scene di nuvole e di paesaggi - immagini che possono ricordarci, più che la sconfinatezza romantica, il presagio di un pericolo incombente - il problema dell'interpretazione diventa cruciale. Perché infatti, caratteristica di questi lavori, è quella di declinare un discorso su una realtà non data e dunque sempre mutevole. In questo senso si può parlare di un uso del mezzo meccanico come se fosse un mezzo manuale, "come se fosse pittura": così ci si trova di fronte spesso ad immagini attentamente elaborate anche sul piano formale, quasi a vere costruzioni sceniche, alla visualizzazione di autentiche messe in scena.
Ora, direbbe Duane Michals, si va oltre la percezione, si cerca la conoscenza: l'immagine non è più provocata, ma concepita, pensata, non viene a posteriori, ma si fa strumento che riflette sui propri statuti, sul suo diventare figura del tempo e dello spazio. L'occhio si rivolge verso paesaggi sempre più interiori, sempre più disancorati dal reale e la foto si fa contaminare da intrusioni (piume, per esempio). Si accentua così l'ambiguità della visione, l'enigma della lettura delle immagini. Il che significa in un certo senso chiudere la porta verso l'esterno ed aprirsi verso una poetica più privata, affettiva, coinvolgente, rivolgersi verso il mistero della creatività.
Quel mistero che nelle opere pittoriche si respira con altrettanta nettezza. Qui estasi e angoscia sono gli estremi della stessa situazione. Il loro punto di incontro avviene nel colore dominante della notturnità, specchio dell'anima assorta di fronte ad un infinito attraversamento dai bagliori di una luce avvolgente. Essa stacca dal fondo particolari sagome, presagi, lasciando l'atmosfera rarefatta. Si respira un senso di indeterminatezza, di immobilità metafisica; l'immagine sospinge verso il momento del crepuscolo, quando il mondo, silenzioso, attende.
Dalla presentazione della mostra
personale alla Saletta Comunale di Castel San Pietro Terme, marzo 2000