Riccardo Bonini
Una nostalgica poetica crepuscolare, un'elevazione della piccola cosa (di pessimo gusto?) a contraltare di una maestosità vacua e puramente ornamentale. L'indagine di Luca Piovaccari è la ri-elaborazione di un lutto in continuo divenire, perché si nutre (come lui stesso sostiene) della 'parte dietro'. Non volendo banalizzare la riflessione riducendola al mero binomio facciata / sostanza, sarà utile ricordare che in questo caso con 'ciò che sta dietro' si intende 'ciò che era prima', una sostanza preesistente, accantonata in funzione di un'esigenza frenetica, programmatrice. Qualunque traccia dell'individualità dell'intervento umano, la singola presenza di oggetti che costituiscono un patrimonio comune di tante aree abbandonate alla loro solitudine opposta al massificante "lavoro" di accumulo e aggregazione, la cementificazione progressiva e inarrestabile alla quale vengono sottoposte (quasi un bisogno umano 'fisiologico' di dare tangibile verificabilità alla presenza di massa) viene vissuta attraverso le opere fotografiche di Piovaccari come un ricordo sempre più sbiadito, calato in realtà che diventano subito nostalgie. I suoi acetati in bianco & nero sprigionano già al primo colpo d'occhio la sensazione che ciò che rappresentano sia effettivamente istantaneo, volatile, e in questo senso la materiale scomposizione della fotografia (aggregata in una serie di stampe divise) accentua il senso di perdita. La testimonianza di un artista fortemente intellettuale come Luca Piovaccari diventa in questo percorso un atto di archeologia umanitaria fondamentale, un recupero estremo del valore del fare per conservare, seppure solamente nella memoria. La forza effimera della rappresentazione si manifesta con grande intensità attraverso un espediente scenografico, quasi teatrale come quello delle installazioni architettoniche a parete, realizzate con chiodi e filo di lana. Con un'illuminazione ad hoc, la profondità acquistata dal disegno (che si appropria di una tridimensionalità tanto evidente quanto fittizia) libera una visione umana che si proietta oltre il semplice spazio progettato. Azione e visione diventano pertanto due realtà che procedono parallelamente nella formazione di un immaginario alternativo all'uso e consumo del reale, dominato invece principalmente da un'azione che nel suo formarsi è già vecchia, e non può quindi che produrre ricette stantie e, appena nate, già quasi morte. La purificazione , prima di tutto morale, dei contenuti (e dei contenenti) della realtà che Piovaccari impone come obiettivo alla sua analisi dell'ambiente in cui volenti o nolenti ci troviamo immersi, passa attraverso un'osservazione fisica ma al contempo decisamente 'alta', intensa e riflessiva, non priva d'ironia. Lo dimostrano le sue installazioni di tubature che idealmente purificano comunissimo terriccio, segno tangibile e pesantemente materiale di un processo che coinvolge tanto il senso di appartenenza alla terra quanto la necessità che la terra stessa torni ad essere un valore riconosciuto di appartenenza intellettuale, luogo reale della materializzazione di progetti e intenzioni del pensiero.
13.09.2009
Presentazione per la personale "Landscapes" a Pietrasanta