Gianluca Marziani
Luca Piovaccari
(...) Piovaccari la sua partita se la gioca in uno scambio tra manuale e tecnologico, tra pitture (su carta) e acetati (frutto di trasporti fotografici su plastica emulsionata): i passaggi di tecniche implicano un continuo carpire le minuscole differenze nel "paesaggio" e nella "figura", momenti tematici che ridanno il senso realistico del suo percorso. "Luoghi" e "corpi" appartengono alla scansione di "natura" e "Cultura", dialettica che è nelle corde artistiche di tutto Piovaccari e di chiunque non si fermi al puro vento della superficie. Quel dibattersi tra pitture e acetati rende il giusto metro di una stimolante dialettica, viva nell'accezione estetica, e non solo mentale, dei lavori.
Piovaccari parte da un dato semplice e complesso ovvero, scava l'esperienza del viaggio intimo davanti ai conflitti silenziosi che ci portiamo dentro; lui lavora sulla sublimazione dei rapporti interpersonali, ne vive il disagio ma pratica l'arte difficile del superamento, della crescita continua di fronte ad un malessere che può condurre al bene. Ognuno di noi cresce quando un fatto rompe l'ordine, appena si spacca la sicurezza della monotonia: in quell'istante entra in ballo il disordine e si insinua un confronto, dal rischio nasce della sfida. Non mi permetto di affermare che l'artista abbia compreso il "segreto", lasciamo la psicanalisi a sede più congeniale: per quel che sento ne fa solamente la sua privata terapia evolutiva, il modo di ambire a "vedersi" coi mezzi dell'arte visiva. Il paesaggio, con un perdonabile escamotage critico che mi concedo, rappresenta la "Natura" in senso stretto ma anche la carica di liberarsi, il cambio di rotta o l'assestamento: i box luminosi coi cieli nuvolosi escono dal muro, si accendono col rigore del sole ma tornano a raccontare un momento privato, una via calpestata dalla propria esperienza. Allo stesso modo i paesaggi ad olio secco e pastello su carta, visioni su panoramiche stradali che potrebbero confondersi con piccole fotografie: la pittura determina il valore intimo di un luogo che scende dai box luminosi ed entra nel viaggio stradale, in un muoversi i cui simboli metaforici restano fin troppo chiari per chi cerchi liberazione. (...) La fotografia non è più solo scatto ma traghettamento, sublimazione calda su plastica trasparente dalla piattezza neutrale. La pelle di persone e spazi aperti, prendendo la tramatura del materiale plastico, va a comporre immagini mediante unione di fogli separati, offrendo così un'altra valenza interiore della costruzione; prendendomi l'ulteriore licenza critica, direi che volti e paesaggi si ricompongono dopo la disgregazione, o quantomeno sottolineano il senso di un complesso sfaldamento che investe sentimenti e sensi: Luca Piovaccari racconta il circuito personale di contatti, la trama dei fili con cui una persona si dirama verso la propria costellazione (qui si forma il suo concetto di "Cultura" rispetto alla "Natura"). (...)
1988 e oltre... Fin dai primi lavori nasce l'impegno ad allestire un'opera che sia luogo, zona di isolamento energetico: nei primi anni Novanta, per esempio, i lightbox si relazionano ad elementi geometrici in alluminio, quasi dei campi di forza per organizzare la biologia calda dei percorsi mnemonici: oppure certi paesaggi ad olio su tavola dialogavano con elementi in gesso dalla conicità strettissima, anche qui simili principi generali. Sempre si riscontra la tendenza ambientale delle opere, che sia una disposizione seriale di piccoli disegni o un esporsi di strutture complesse: Piovaccari organizza corpi visivi che si strutturano per autoalimentarsi, proprio per l'inflessione di un qualsiasi organismo ad avere propri sistemi di riferimento. La pittura non è mai solo pittura, la fotografia ha sempre qualcosa di personale (su un grande acetato alla Romberg si vedono anche alcuni piccoli fogli, dove la memoria si rende più viva ed epidermica), gli elementi scultorei esistono per completare e non si esauriscono nel semplice atto formale: al romagnolo non basta la dilatazione di una tecnica, come avviene con pitture che hanno l'eccesso di caparbietà delle grandi cose. Per lui la tecnica rafforza lo stesso pensiero ma vuole distanza e continui filtri; doti naturali e intuito vengono passati al setaccio del mondo che diviene esperienza intima: e come il mondo si mostra sfaccettato e pulsante, così le opere hanno angolazioni teoriche insospettabili, lati concettuali improvvisi, echi morali sempre vivi.
Aprile 1998 e oltre... Piovaccari ha una strana collocazione nel panorama artistico italiano: non combacia con alcuna linea di tendenza, non appartiene alla sola fotografia o all'esclusivo manualismo pittorico. È sempre un pochino "oltre", dove il valore interiore della propria esperienza non muta in retorica del mezzo ma si dilata al mondo, ai modi consoni per l'affermazione di quella piega interiore.
Piovaccari determina il continuo spostamento di un proprio centro formale: e lo fa utilizzando sempre gli stessi assi che cambiano prospettiva e determinano l'uso specifico. La sua coerenza, tra uno spiazzamento e l'altro, evidenzia una certa propensione ad installare le proprie variabili tecniche, mettendo lo spazio in relazione immediata con le geografie interiori. I muri delle gallerie divengono la pagina bianca delle sue narrazioni intime, il campo per sintetizzare le strutture complesse dei percorsi privati. Nei luoghi prendono forma i capitoli di ipotetici racconti visivi, offerti al potere della manualità sintetica e della tecnologia calda: ogni mostra di piovaccari giunge al termine di un periodo privato, quasi a tirare le somme di quanto accaduto ma in prospettiva di quello che, domani, arriverà o potrebbe arrivare.
Dalla presentazione in catalogo alla Galleria Romberg, Latina 1998